Storia dell'archivio-History of the archive
Umberto Pizzi, classe 1937, è un fotografo indipendente che, dopo un inizio da fotoreporter in Iran, Iraq e Turchia negli anni ‘60, ha raccontato l’Italia del boom economico, fino ad arrivare ai nostri tempi.
Con quale sguardo ha fotografato i personaggi? Pizzi si definisce un lupo solitario, ma veloce e intuitivo, capace di anticipare le mosse dei soggetti da fotografare, in grado di cogliere un’espressione, un movimento, che diventa non solo il ritratto di un singolo, ma racconta in un’immagine la società e i costumi dell’epoca.
Nell’archivio fotografico che va dagli anni ’60 ad oggi, in costante arricchimento, è possibile trovare, attraverso parole chiave, gli attori, i registi, i produttori che popolarono la Hollywood sul Tevere, ma anche gli intellettuali dell’epoca, i politici che hanno fatto la storia del Paese, in un grande affresco di varia umanità, vista da vicino ma con distacco privo di ogni forma di giudizio.
Accanto a foto con Gassman, Mastroianni, De Filippo, Rossellini, Liz Taylor, Richard Burton, si trovano le foto con Moravia, Maraini; uno spaccato di un’epoca che ha segnato la storia letteraria, cinematografica, politica dell’Italia. Con lo stesso sguardo disincantato, impietoso e lucido, ma allo stesso tempo partecipe, Pizzi racconta anche gli aspetti meno edificanti della società, popolati da personaggi alla ricerca di visibilità, arrampicatori sociali di varia natura, come ad illustrare in una narrazione per immagini, la ricca e varia umanità che ha attraversato il nostro Paese.
Lo stesso fotografo definisce la fine della Dolce Vita all’inizio degli anni ’90, quando in una foto molto quotata, immortala le nudità di una principessa all’alba di un mattino veneziano, simbolo di quel decadimento del costume, della morale, e dell’intelletto, che sarà il segno degli anni ’90, dalla Milano da bere in poi.
Da questo momento, parallelamente al cambiamento della società, il suo racconto per immagini, a sé stanti ma anche funzionali ad un affresco gigantesco dell’umanità italica, si trasforma in cronaca della decadenza, gli scatti fissano dei tableaux vivants di personaggi eccessivi, quasi disperati, che sembrano aver perso l’eleganza e la bellezza dei tempi andati, e sono ciò che rimane di un Paese segnato dagli anni bui del terrorismo, dalla perdita di valori consolidati, dalla disillusione.
Tutto cambia, ma non cambia la presenza/assenza di uno sguardo vicino e lontano, scanzonato e senza un filo di speranza.
Il Ministero dei Beni Culturali ha dichiarato quest'archivio patrimonio di interesse culturale particolarmente importante.
Umberto Pizzi, born in 1937, is an independent photographer, who after a long experience as a photojournalist in Iran, Iraq and Turkey in the ‘60s, returned to Italy to document the Dolce Vita and high society during the period of the Italian economic boom until present day.
With what eyes did he photograph the personalities? Pizzi defines himself a lone wolf, quick and intuitive, capable of anticipating a subjects’ moves and able to capture an expression or a gesture that not only becomes a portrait but in one single image tells the story of the society and lifestyle of the time.
In the archive that spans from the ‘60s to present day, in constant expansion, it is possible to find through keywords: actors, directors and producers who populated the “Hollywood on the river Tiber,” as well as intellectuals and politicians who made the country’s history. All in a big painting of varied humanity, observed from close-up but with detachment devoid of any form of judgement.
Alongside photos with Vittorio Gassmann, Marcello Mastroianni, Edoardo de Filippo, Roberto Rossellini, Liz Taylor, Richard Burton, you will find photos with Alberto Moravia and Dacia Maraini; an insight into a period that marked the Italian history of literature, film and politics. From the same disenchanted, ruthless and lucid, yet participative viewpoint, Pizzi recounts the less edifying aspects of the society, populated with characters looking for visibility and social climbers of various sort, as if to narrate through images, the rich and varied humanity that traversed the country.
The photographer himself defines the end of the Dolce Vita at the beginning of the ‘90s, when he immortalizes, in a very famous photo, the nudity of a princess at dawn in Venice, a symbol of the decay of customs, morals and intellect that will be the sign of the 90’s from the “Milano da bere” onwards.
From this moment, parallel to the change in society, his story through images (in their own right but also functional to a gigantic fresco of Italic humanity) becomes a chronicle of decadence. His shots capture “tableaux vivants” of excessive, almost desperate characters, who seem to have lost the elegance and beauty of bygone times, and are what remains of a country marked by the dark years of terrorism, by the loss of consolidated values, by disillusion.
Everything changes but not the presence or absence of a look from near and far, light-hearted and without a trace of hope.
The Ministry of Cultural Heritage has declared this archive Asset of Cultural Interest.